21/04/08

Falsi censori

Lo stupro che ha subito la ragazza del Lesotho alla periferia di Roma è particolarmente impressionante per molti motivi: per il luogo deserto e buio, alla periferia di Roma, perché a subirlo è stata una donna indifesa, come la signora Reggiani, uccisa qualche mese fa in circostanze simili, perché il delitto è stato commesso da un rumeno clandestino.
Nel ballottaggio per il Sindaco di Roma, appena concluse le votazioni politiche, questo crimine assume il valore simbolico della "sicurezza” delle nostre città.
Da qui le invocazioni alla “tolleranza zero”, a misure severe, a riempire di nuovo le carceri, contro ogni buonismo e sopportazione, come ha dichiarato qualche esponente politico.
Fuori dalle emozioni, il crimine de “La Storta” a Roma spinge a riflessioni serie.
L'episodio fa emergere tre grandi ambiguità: la prima sulla violenza sessuale, la seconda sull"immigrazione clandestina, la terza sulla certezza della pena.
Ambiguità con le quali la nostra cultura (e la nostra politica) convivono tranquillamente.
Di fronte ai clamori per la ragazza aggredita e violentata, nessun allarme per il 69% degli stupri che avvengono tra le mura domestiche. Un dato tenuto nascosto perché farebbe scoprire la violenza dei maschi prima italiani e poi stranieri. Forse anche nel nostro civilissimo paese andrebbe attivata la cultura del rispetto e della pari dignità. I delitti eccellenti di Chiavenna, di Garlasco, di Erba, di Perugia non avevano origine clandestina, né sono stati commessi in periferie urbane degradate.
La seconda ambiguità riguarda l’immigrazione clandestina. La nostra politica accetta tranquillamente la clandestinità quando è utile (badanti, lavoratori in edilizia, in agricoltura, nel settore alberghiero, in quello marittimo) perché fa risparmiare; invoca leggi severe quando è delinquenziale. Sarebbe utile sapere qual è la linea scelta, senza ammiccamenti e tolleranze, determinate da convenienze.
Infine la certezza della pena. Nel nostro paese non c’è certezza della legge, figurarsi della pena. Il garantismo contro cui, in circostanze delittuose, molti si scagliano è servito a molti cittadini, anche “eccellenti”, a non subire condanne; fa parte del nostro bagaglio giuridico la prescrizione, ultima spiaggia per non subire condanne. Che in questo pressappochismo voluto abbia buon gioco la delinquenza non è di difficile immaginazione. Ma l’incertezza della pena non è stata inventata per stranieri, ma per italiani.
Il livello di rispetto della convivenza nel nostro paese è basso: rafforzarlo significa diventare più coerenti, senza appelli roboanti e falsamente moralistici perché inversamente proporzionali a garantire sicurezza.
Fuor di luogo dunque sono le promesse di giro di vite e gli appelli apocalittici. La cultura della legalità è una cosa seria: vale per tutti e sempre. Sono necessarie politiche di integrazione, di rispetto e di efficienza. Vere e non annunciate; sostenute con risorse e non da invocazioni; equilibrate e non discriminanti.

15/04/08

Tra aziende sociali ed esercito della salvezza

A risultati elettorali acquisiti è utile offrire, dal versante delle fasce di popolazione più svantaggiate, alcune considerazioni. La prima è che la popolazione precaria (poveri, anziani, immigrati) non ha avuto interlocutori. Nel dibattito prima delle votazioni è sembrato che qualche milione di persone, con i relativi problemi, non esistesse. I voti espressi hanno dimostrato che l'attenzione a costoro è un non problema per il futuro. Nelle promesse elettorali non risultava una linea di tendenza di 'politica sociale"; i risultati elettorali hanno confermato disinteresse e noncuranza. Che avverrà dunque domani con queste premesse?
Prevediamo due risposte che sembrano lontane tra loro, ma unite da una stessa logica. Possiamo chiamarle: ‘aziende sociali’ ed ‘esercito della salvezza’.

Essendo scomparsa abbondantemente la filosofia della solidarietà (tra generazioni, tra territori, tra culture) saranno i prevalenti (cittadini a pieno titolo) a suggerire i contenuti, le modalità, le quantità di politica sociale per le fasce di popolazione marginale. Appellando arbitrariamente ai principi della sussidiarietà, cresceranno le "aziende sociali”: saranno loro affidati i servizi. Esse dovranno essere capaci di gestire il sociale come qualsiasi altro “affare” economico. Parteciperanno ai bandi offrendo, al minor costo possibile, i servizi che l’amministrazione pubblica chiederà loro. Una tendenza già ampiamente in atto nel nord d’Italia che sarà estesa nel resto del paese.
I motivi addotti saranno moltissimi, alcuni nobili, altri meno: la filosofia resta quella del rapporto economico del contratto. Che cosa serve, a chi e a quale prezzo sarà stabilito dal committente: alle “aziende sociali” la sola libertà di partecipare.
Se l’amministrazione pubblica non riuscirà a offrire risorse per il sociale, rimarrà la strada dell’”esercito della salvezza”: l’appello alla solidarietà personale e collettiva per sopperire ai problemi più urgenti e di primaria vitalità. Il 5 per mille, la raccolta fondi, le fondazioni si moltiplicheranno per drenare risorse. Ancora una volta l’elemosina ritorna con prepotenza nel welfare.
Questo scenario, per noi, è umiliante. Prima di tutto perché alcuni (i più bisognosi) non saranno più considerati soggetti portatori di dignità, ma solamente destinatari di aiuto. In secondo luogo perché coloro che dovranno offrire risposte saranno “mercenari”: non avranno voce per far emergere problemi, per essere coscienza critica, ma saranno ridotti a “operatori” ad appalto (e per giunta al ribasso).
Questa logica va combattuta. Anche in solitudine e anche di fronte al futuro incerto.
I valori della dignità, della solidarietà, della rimozione delle cause di disagio vanno mantenuti alti, anche se l’immediato futuro suggerirebbe di adeguarsi alle “nuove tendenze”. Una battaglia in solitudine, ma non per questo meno giusta.

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