28/05/07

I genitori “adolescenti” che non hanno più coraggio

Prima l'on. Amato, ministro dell"Interno, ora l’on. Turco, ministra della salute, di fronte a gravi fatti di cronaca, propongono misure repressive nei confronti dell’uso della droga a scuola.
Questi due interventi, in qualche modo esterni al mondo giovanile e scolastico, dicono che la crisi è senza ritorno. Si vorrebbe - è l’opinione corrente degli ultimi anni – che siano le forze esterne (repressive ed educative) ad affrontare un problema che è invece tutto interno alla vita dei ragazzi.
Il rafforzamento delle misure repressive ha un qualche senso se l’educazione (che comprende anche il controllo) parte dalla vita complessiva del giovane.

Non da oggi le famiglie, regolari o ricomposte, si sono riappropriate dell’educazione esclusiva dei propri figli. Agli insegnanti ed educatori è stato sottratto il compito educativo: i genitori hanno detto loro che la vita dei propri figli è affare proprio, pronti a difenderli anche quando sono indifendibili. Vanno male a scuola? I genitori rispondono che è la scuola che fa schifo. Stanno male? E’ un problema che non li riguarda. C’è il sospetto che il ragazzo o ragazza consumi sostanze? Non si azzardino a fare insinuazioni. Conclusione: nessuno si avventura più su terreni che non siano quelli dell’insegnamento e della sola relazione conoscitiva. E i ragazzi lo sanno: per questo la scuola, gli ambienti culturali, sociali, ricreativi sono diventati terreno neutro per ogni ingerenza formativa.
Se la vita educativa del giovane è appannaggio della propria famiglia, se ne dovrebbe dedurre che i propri familiari siano i veri educatori. Così non è. Partecipando a infiniti dibattiti nella scuola e fuori, l’insistenza è per l’agio-disagio dei giovani; per i loro linguaggi; per il loro incerto futuro.
La conclusione di queste riflessioni sfocia in uno "psicologismo” che privilegia le modalità e non la sostanza della vita.

Ogni ragazzo deve sapere che cosa è bene e male; quali sono i confini della trasgressione; che cosa la vita riserva. Che l’apprendimento è fatica; che i valori perseguiti premiano, che la trasgressione può portare alla marginalità. Sono gli adulti che non hanno più il coraggio delle cose: sono stati invischiati nell’adolescenza dei figli, e sono rimasti essi stessi adolescenti.
Il figlio che non studia è un somaro; quello che vuole denaro senza fatica rischia la truffa; chi sogna cose grandiose senza apprendere nulla sarà un fallito.
Certo che si può e si deve mediare; non oltre certi limiti, perché non basterà l’esercito a raddrizzare il futuro. Talmente evidente che alcuni ragazzi e ragazze, coetanei di quelli problematici, apprendono le lingue, vanno all’estero per i master; si dedicano al mondo della solidarietà. Sembrano di un altro pianeta, eppure frequentano la stessa scuola

07/05/07

Solo offrendo legalità si può esigere legalità

Il quotidiano "la Repubblica” ha pubblicato oggi in evidenza (carta stampata e on line) la lettera di Claudio Poverini sul rischio del razzismo, con tanto di forum per chiedere il proprio pensiero. Rispondo volentieri.
La lettera inizia con “sono di sinistra”, termina con “… non voglio e mi opporrò con tutte le mie forze al dagli allo straniero. Ma voglio legalità, voglio la cultura della legalità in questo benedetto Paese, voglio che chi sbaglia paghi.”
Al di là della propria definizione ideologica, l'interlocutore e insieme Corrado Augias, vanno in corto circuito. Vogliono un popolo di immigrati bravi cittadini, come alcuni (non tutti) abitanti del nostro paese, senza chiedersi il perché di comportamenti scorretti e irriguardosi.
Per prima cosa verrebbe da chiedersi se c"è un effetto domino per chi è straniero in Italia: spinte, parolacce, qualcosa di peggio in metropolitana e fuori fanno parte da sempre della nostra “storia”, prima e oltre gli stranieri. Nella lettera non è scritto, ma il sottinteso è: visto che siete ospiti, dovreste essere riconoscenti, comportandovi bene. Una convinzione molto diffusa e sentita.
Forse sarebbe corretta se l’ospitalità fosse degna di questo nome. La legalità - e veniamo al dunque – esige parità di diritti e di doveri. Per esigere legalità occorre dare legalità. Senza giri in Italia e in Europa la legge non è uguale per tutti come si dichiara. Quale donna italiana lavora 24 ore al giorno, per sei giorni, per un migliaio di euro al mese? Nessuna: in Italia ne abbiamo una milionata. Quale operaio generico italiano lavora nell’edilizia o nell’agricoltura per tre o quattro euro all’ora? Nessuno e ne abbiamo qualche centinaia di migliaia. Perché si permette che delle minorenni straniere si prostituiscano senza che il cliente subisca alcuna conseguenza penale? Perché i Comuni tollerano che si affittino case fatiscenti, in nero, a prezzi esorbitanti? La lista potrebbe allungarsi. La conclusione è chiara: solo offrendo legalità si può esigere legalità.
A me sembra che destra e sinistra si stiano accartocciando al “centro” dove regna un antico adagio: sii esigente con gli schiavi, perché tu appartieni a un popolo nobile, garante di giustizia”.

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