15/12/06

Abbiamo perso il contatto con "sorella morte": lettera a Welby

Caro Piergiorgio, ho pensato molto in questi giorni, leggendo i tuoi appelli a morire, che cosa potesse dirti un credente che comprende che cosa significhi “la prigione infame del corpo”. Abbiamo vissuto in comunità molte storie simili alla tua: morti lente, inutilmente atroci, causate da malattie irreversibili.
Queste storie hanno significato per noi misurarsi con quel tipo di morte particolarmente feroce perché si avvicina senza fretta.
La vita è come il sole: sorge pieno di speranza, va su nel cielo splendente e poi tramonta. Per qualcuno il sole non è mai splendente perché la disabilità, la malattia “importante”, come dicono i medici,  rende triste, molto triste, il cielo.
Alcuni si lasciano andare: a volte imprecano, spesso sono sopraffatti da tristezza infinita. Altri reagiscono, chiedendo giustizia e solidarietà per realizzare i sogni, altri ancora fanno della loro vita un “segno” importante di dignità.
Quando la notte sta avvicinandosi, dopo aver combattuto per una vita, alcuni chiedono di morire: hanno dato già abbastanza. La fatica li ha stremati.
Noi li accompagniamo nella morte, impedendo che la medicina si accanisca per i pochi attimi in più che dice di garantire.
Ma tu hai posto un problema che va al di là della tua storia personale: hai chiesto se e quando è giusto dire basta. L’hai fatto per le tue idee e per la tua militanza.
Hai chiamato in causa la morte, evento che la scienza, la medicina, la cultura moderne ignorano: gli abitanti del primo mondo aspirano all’immortalità. Le discussioni non sortiranno grandi risultati: abbiamo perso la dimensione relativa della vita che il libro della Sapienza ha invano suggerito:
“La nostra vita passerà come le tracce di una nube,
si disperderà come nebbia

01/12/06

Addetti non profit: utili idioti?

Con una certa preoccupazione, ma sicuro di non essere distante dalla verità, constato che il cosiddetto mondo non profit sia oramai marginale rispetto alle politiche sociali.
Grandi e piccole organizzazioni del cosiddetto mondo non profit (associazioni e organizzazioni di volontariato, enti gestori) sono ininfluenti nelle scelte di politica sociale.
Vengono esaltati i numeri della loro crescita. L’ultima stima del volontariato in Italia indicava in 3 milioni e trecentomila (Studio Ipsos 2006) coloro che abitualmente fanno volontariato.  21mila le associazioni con 100 mila religiosi che si impegnano in 292 mila piccole sezioni, triplicate rispetto al 1991. Il mondo del volontariato è anche, in qualche modo, profit, essendo stimato il suo fatturato in 38 miliardi di euro.
Nelle imprese sociali a vario titolo lavorano oltre 630 mila dipendenti, che nel 70% dei casi ha un titolo di scuola media superiore.
La loro distribuzione nel territorio nazionale non è omogenea: il 60% opera al nord, il 19,3% al centro e il 20,7% al sud.
La domanda è che cosa oggi dica, in termini politici, questo mondo. La risposta secca è che contano poco, molto poco. Provo a dimostrare la tesi.

31/10/06

Dopo Verona: la Chiesa senza la dimensione “materiale” della vita?

A pochi giorni dalla chiusura del Convegno di tutta la Chiesa italiana a Verona, l’appuntamento chiamato a tracciare le linee di azione della chiesa cattolica per i prossimi dieci anni, dopo quelli di Roma (1976), di Loreto (1985) e di Palermo (1995) è utile rileggere gli interventi di Benedetto XVI, del card. Tettamanzi, Arcivescovo di Milano (relazione introduttiva) e del card. Ruini, Vicario di Roma (relazione conclusiva) per comprendere i punti forti e quelli fragili di una prospettiva che ha al centro dell’interesse la sfida del cattolicesimo con la modernità. Al di là dei modi di porre la questione, in attesa delle conclusioni “ufficiali” che la Conferenza episcopale italiana si riserva di trarre tra qualche mese, tutte e tre le relazioni hanno riassunto nella questione “antropologica” la sostanza di questa sfida. Per questione antropologica si intende la trasformazione – come ha spiegato il card. Tettamanzi – che la cultura moderna ha sulla visione della vita e sull’esperienza odierna dell’uomo (un tempo cristiana). Trasformazione non solo diretta alla cultura “alta”, ma alla cultura che contagia e modula ogni persona.
Le radici del cambiamento sono da addebitare, secondo Benedetto XVI, a una nuova ondata di “illuminismo e laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre, sul piano della prassi, la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al qual tutti gli altri dovrebbero sottostare”.
A questa sfida le tre relazioni rispondono proponendo il modo di essere cristiani: l’essere testimoni della speranza. Per la fede che vivono “rendano Dio credibile”, per ricordare un’espressione di Benedetto XVI.
Ne consegue che il cristiano non può, né deve nascondersi, ma impegnare il suo pensiero e il suo modo di vivere perché la missione della Chiesa produca un “determinante influsso positivo sulla vita della società” (card. Ruini).
Il cristianesimo dei prossimi anni deve ritrovare, secondo le parole del Papa, nella santità, la forza di risposta alla sfida moderna. Il punto di forza di questa visione è l’appello alle radici più profonde della fede: “ripetere “quel grande “sì” che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra cultura”, auspicando che l’azione della chiesa non sia mai un adattarsi alle culture, ma “purificazione”, “taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento”.
Le tre relazioni fondano dunque la possibilità della risposta di fede a motivazioni tutte interne. Indicano anche gli ambiti di questo intervento. Praticamente tutta la vita personale e sociale; Benedetto XVI ne fa un breve elenco: le guerre e il terrorismo, la fame e la sete, alcune terribili epidemie. Il Papa avverte inoltre il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicono fondamentali principi antropologici ed etici

12/10/06

Verso Verona, un contributo “fuori quota”

“In attesa di Verona 2006, per il quarto Convegno ecclesiale nazionale, anche noi vogliamo offrire il nostro contributo di preghiera, di riflessione e di esperienza. Pochi di noi parteciperanno direttamente all’evento: nello schema delle presenze, siamo considerati “fuori quota”, nonostante molti di noi siano cristiani convinti e anche ministri sacri, religiosi e religiose, presenti sul territorio, nelle cosiddette ‘opere di carità’”.
E’ l’inizio del documento scritto da Vinicio Albanesi in vista del grande evento del16-20 ottobre, e che oggi viene reso pubblico attraverso questo blog. Lo trovate in allegato a questo post. Ecco come l’autore lo introduce.

La Chiesa italiana si trova ad affrontare il prossimo decennio in evidente difficoltà.
Difficoltà interne in quanto gli orientamenti di azione sono stanchi e generici. Il clero è invecchiato e anche triste. Il laicato è silenzioso e umiliato, i movimenti e i gruppi elitari sono riferimento per i propri appartenenti, ininfluenti nell’azione di popolo. Le proposte di evangelizzazione, elaborate negli ultimi anni, sono tentativi linguistici più che proposte concrete.
Ma le difficoltà sono anche esterne. La società italiana è definitivamente secolarizzata. Gli indici di secolarizzazione sono dati oggettivi (famiglie, nascite, sincretismo religioso, cultura secolarizzata).

La proposta di speranza, elaborata dal documento preparatorio, sembra non rendersi conto della “drammaticità” della situazione: invece di affrontare frontalmente la situazione sociale e spirituale delle persone si rivolge allo stretto gruppo di fedeli che in ancora rimangono stabilmente praticanti. Uno spaccato di Chiesa sempre più marginale e stantio.

Di fronte alle difficoltà evidenti, i motivi di speranza possono partire dai drammi che la società italiana vive. Sono due i nuclei di problematicità che la Chiesa italiana può affrontare: le povertà e la solitudine. Essi interpellano direttamente l’azione della Chiesa in termini storici e insieme spirituali.

25/09/06

Eutanasia: il desiderio di morire e la vita degna di essere vissuta

Piergiorgio Welby nel suo videomessaggio al presidente Napolitano pone il problema estremo della vita e della morte. Egli dichiara che la sua vita è non vita, in quanto gli vengono negate dalla malattia tutte quelle funzioni, anche minime, che gli permettevano di essere attivo.
Qualche giorno fa, nella nostra Comunità, è morta una signora che era esattamente nelle sue condizioni: non ci ha mai chiesto di morire. E’ morta perché il cuore era esausto.
Alcune considerazioni, a proposito dell’eutanasia, possono essere utili.
La prima è che anche nelle condizioni estreme di malattia irreversibile le reazioni di chi sta male non sono affatto uguali. Non tutti desiderano la morte: anzi. C’è chi chiede disperatamente di far qualcosa oltre il limite immaginabile. Nessun protocollo sanitario oggettivo può disporre dunque il confine oltre il quale l’intervento terapeutico va interrotto. Né terzi (parenti, amici) possono disporre della vita altrui. Nel coma più profondo nessuno può dire se quella persona desiderava vivere o morire. Nella vicenda di Terry Schiavo, la ragazza americana fatta morire da terzi, il dramma è stato è che qualcuno ha deciso della vita di qualcun altro, senza averne diritto.
La seconda considerazione riguarda chi, sfinito, chiede di morire. Credo che la chiave di volta sia non già nel desiderio della morte, ma di una vita ancora degna di essere vissuta.
L’intervento sanitario, nei casi estremi, va diretto alla qualità della vita e non già alla sua durata. La questione è drammatica nella terapia del dolore. Se la malattia è irreversibile è inutile far durare qualche giorno di più la vita, facendo patire dolori indicibili. Non è giusto seguire protocolli terapeutici uguali sia se la speranza di vita sia lunga, che breve, sia con speranza di guarigione o senza.
La terza considerazione riguarda “la qualità” complessiva della vita. Il desiderio di morte si attenua se qualcuno, nonostante la malattia, è circondato da chi gli vuol bene.
Se, nonostante tutte le attenzioni, qualcuno chiede di morire, non è possibile rispondere a questo desiderio, perché nessuno può aver potere di dare morte. La morte infatti è negativa sempre e comunque. Nelle guerre, nelle devastazioni, nelle povertà e anche nelle malattie. Chi chiede di morire può invece desiderare e ottenere che l’accanimento terapeutico non prosegua senza discernimento umano. La scienza deve sempre e comunque relazionarsi con la qualità complessiva della vita e, anche per motivi nobili, non può travalicare la dignità della singola persona, della quale resta strumento.

03/08/06

Cristina, suora e Down: la sfida della fiducia

L’Agenzia Redattore Sociale ha diffuso ieri la notizia di Cristina, una ragazza down accolta in una congregazione religiosa a Como. Credo sia una data storica.
Nel recente passato c'era stata una lunga discussione se i ragazzi down potessero vivere insieme. La notizia di questi giorni dice che è possibile valorizzare la dignità di una creatura nonostante  i limiti che la sindrome di Down comporta.
E’ una data storica perché la storia di Cristina contribuisce a riportare uguaglianza nonostante i limiti fisici. Chi frequenta i "mongolini" conosce bene la loro affettività, costanza, affidabilità: hanno però bisogno di presenza, riferimenti, affetto.
Con linguaggio sofisticato si può dire che sono "fragili": un po' creature, un po' adulti. Che la sfida della fiducia sia stata accolta in ambito religioso è un segnale molto, molto positivo.

19/06/06

Un invito mancato a ''Porta a porta''

Leggere i testi delle intercettazioni sul caso Vittorio Emanuele di Savoia e sul coinvolgimento di trasmissioni Rai mi ha fatto ricordare questa telefonata al tempo della discussione sulla Legge Fini sulla droga.

-          Pronto, parlo con don Vinicio Albanesi?
-          Sì.
-          Sono (….) della redazione di “Porta a Porta”.
-          Mi dica…
-          Vorremmo invitarla a una puntata sulla droga con l’on. Fini. Che cosa gli chiederebbe?
-          Perché quando parla di droga invoca tolleranza zero, mentre per altri reati si è sempre dichiarato garantista?
-          Ah, sì? Le faremo sapere...

02/05/06

Un destino da sudditi?

Caro professore,
le notizie sulla preparazione del futuro governo ci lasciano perplessi e anche intristiti. Le esprimiamo due cattivi pensieri.
I nomi dei futuri ministri che circolano – in parte veri e in parte inventati – dimostrerebbero che la cerchia della compagine governativa sarebbe così stretta da far cumulare in poche mani le cariche di parlamentari, segretari di partiti e ministri.
Già, con la nuova legge elettorale, le segreterie dei partiti hanno inserito nomi alla Camera e al Senato rigidamente pensati come “premio alla carriera” per persone comunque “fedeli” alla politica e al partito. Se ora prevale la stessa logica a livello nazionale è facile immaginare non solo che la democraticità della rappresentanza è sempre più evanescente, ma che si stanno costituendo, in nome della governabilità, vere lobby di potere.

La concentrazione dei poteri in pochi mani sembra aver pervaso la nostra società occidentale; dal mondo economico, a quello della comunicazione; da quello industriale a quello ecclesiale. Pochi eletti, presenti in cento luoghi “significativi”, pronti a far circolare logiche e interessi, per il bene comune a parole, in realtà a premiare (con linguaggio vetero democristiano) gli “amici degli amici”. E’ lo spettacolo a cui stiamo assistendo anche per le elezioni amministrative: orde di candidati a sostegno del futuro Sindaco, pronte a presentarsi all’incasso, subito dopo la vittoria. Sono alimentate per captare consensi, ma non sono a costo zero, senza che nessuno dirà mai il prezzo da pagare.
Le chiediamo una chiara discontinuità da questa logica. Non è utile; non è efficace; né così “sicura” come potrebbe apparire.
Ci rendiamo conto delle difficoltà, ma non possiamo assistere, oramai sudditi impotenti, alla nomenclatura che emerge. In giro per l’Italia ci sono persone preparate e oneste, capaci anche di dare contributi significativi per il bene comune, fuori dallo stretto giro della politica di professione.

Il secondo cattivo pensiero riguarda il “welfare”: che la sua rappresentanza non sia di terza fila. Ricadremmo nella filosofia delle povertà vergognose, con dipartimenti senza portafoglio... La lotta alla povertà, alla malattia, al disagio sono cose serie, da non trattare con la carta millimetrata attenti a chi deve governarla. Sarebbe un errore imperdonabile. Lo tenga per sé, ...

11/04/06

Elezioni, per metà dell’Italia l’attenzione ai propri interessi prevale sulla solidarietà

Il segnale più significativo che emerge dalla consultazione elettorale è che nella nostra Italia, metà della popolazione non pone attenzione ai temi della solidarietà e dell’aiuto reciproco. Un po’ come in tutte le società evolute prevale, in molta parte della popolazione, l’attenzione ai propri interessi.
Il Vescovo di Baltimora, in occasione delle ultime elezioni americane, alla domanda che gli ponevano sulle scelte dei cattolici praticanti americani tra repubblicani e democratici, rispose che la scelta tra i due partiti dipendeva, al primo posto, da chi avesse abbassato le tasse. Anche in Italia abbiamo assistito, prima delle elezioni, alle file presso i notai per la paura dell’introduzione delle tasse di successione.
Nella campagna elettorale, molti temi, pure drammatici della nostra convivenza civile, sono stati semplicemente ignorati: immigrazione, anziani, lavoro, mercato della casa; per non parlare di droga, di carcere, di salute dei giovani. Tutto si è giocato, ossessivamente, sul tema delle tasse.
La stessa attenzione alla famiglia, a ben leggere, è nei confronti di una famiglia “regolare”, “sicura”, “normale”. Non già, come si vuol far credere, per motivi ideali, ma per motivi economici e sociali.

Il futuro che si prospetta a chi, come noi si occupa di disabilità, disagio, povertà, è nero. Anzi: più la crisi economica è incombente, più c’è un fuggi fuggi a tutelare il proprio interesse vitale. Ciò è ancor più preoccupante se anche coloro che hanno bisogno della solidarietà preferiscono sognare un futuro da ricchi. E non si tratta di schieramenti, ma di coscienza collettiva che “impone” messaggi rassicuranti e non altruisti.
La stessa solidarietà internazionale è diventato tema tabù: il motivo era la paura della sottrazione di risorse alla “nostra” convivenza. Gli interventi anche armati sono stati giudicati necessari per la nostra sicurezza e per il nostro benessere, senza tanti scrupoli.

La mancanza di dibattito su temi scottanti della convivenza sociale da ambedue gli schieramenti, è l’indicazione inequivocabile che i consensi impedivano addirittura di discutere, prima che di decidere e di scegliere.

24/03/06

Un mio amico prete

come il tuo amico Lazzaro, Signore.
Mi aveva dato fiducia in momenti bui.
Mi stimava; avevamo fatto molte cose insieme.
Era un tipo solare; guardava avanti
senza mai rimpiangere il passato.
Riusciva a non serbare rancore per nessuno.
Se ne è andato forse per errore dei medici:
lui diceva che perdonare è più nobile
che chiedere giustizia.
Sento un gran vuoto;
non solo per la mancanza della sua amicizia,
ma per il suo modo di essere.
Avevamo la stessa visione delle cose:
presenza costante e diffusa di Dio

16/03/06

Aquile reali

Le 500 mila domande di immigrati in fila alle Poste per essere regolarizzati dimostrano che in Italia ci sono clandestini irregolari che lavorano. Lo sanno tutti: gli stranieri, i datori di lavoro, la polizia, gli organi dello Stato.
Le aquile reali dei due ministri leghisti Maroni e Castelli vorrebbero che fosse il Ministro dell'Interno a denunciarli e ad espellerli.
Perché non cominciano loro denunciando gli irregolari che lavorano in Lombardia, Veneto e Piemonte presso i simpatizzanti leghisti?

09/03/06

Ma la “vita digitale” non esiste!

La pubblicità è incalzante: "Teconologia mobile Intel Centrino Duo, Memoria 1.0224 MB DDR2, Hard Disk 100 Gb, Schermo 15,4”, Drive DVD super multi Double Layer, Wireless LAN 802” e conclude “per lo stile di vita digitale di oggi”.
Chissà che significa stile di vita digitale? Una vita da robot, in perenne movimento, senza mangiare né dormire, né avere sete, sempre a curiosare, navigare, leggere, scrivere, informarsi.
La vita digitale non significa nulla, perché non esiste.

Tommaso, vittima della crudeltà degli adulti

Hanno sequestrato Tommaso, il bimbo che assume farmaci contro l'epilessia. La cattiveria, da qualunque causa sia stata scatenata, non ha giustificazione. Un bimbo di tre anni non può essere merce di scambio: perché è una creatura umana, perché è incapace di difendersi, perché è in difficoltà per la sua stessa sopravvivenza.
La speranza è il suo ritrovamento lasciandogli una ferita che si porterà per tutta la vita. Se non sarà ritrovato è una vita perduta, a far compagnia ai milioni di bimbi vittime della crudeltà degli adulti.
Qualunque sia la condanna, se si troveranno i colpevoli, essa mai colmerà l"ingiustizia fatta e subita.

Cosa avverrà dopo il lungo inverno delle politiche sociali?

Dopo il lunghissimo inverno che negli ultimi anni ha investito le politiche del welfare in Italia, la speranza è l'arrivo di una nuova primavera.
Primavera che porti novità, entusiasmo e l"inizio di una nuova stagione sociale.
I motivi del lunghissimo inverno possono essere riassunti in poche, drammatiche battute.
L’approccio economicistico a tutte le questioni sociali, con l’aggiunta della crisi economica, ha portato al calcolo infinitesimale, ma sostanzialmente al ribasso, delle risorse destinate agli svantaggiati.
Lo sfinimento dei tagli sì/tagli no al sociale ha logorato tutti: amministrazioni, enti e associazioni, ma soprattutto i destinatari, coloro che avevano bisogno.
Tanto più che la povertà è in espansione, lambendo fasce di popolazione non marginale, ma “normale”; una catena di poveri più o meno nascosti si presentano ai rari sportelli di aiuto con mazzette di bollette da pagare: metano, luce, assicurazione dell’auto… I costi dei telefonini si mimetizzano nei prepagati, ma influiscono, e come, nei magri bilanci delle famiglie.
A questa drammatizzazione dei bisogni sociali, la coscienza collettiva si è difesa con il silenzio, di cui quello dei media è conseguenza e non causa. Mai più sentito parlare - eccetto rare occasioni - di poveri, badanti, precari, tossicodipendenti, minori a rischio, stranieri, handicappati, malati psichiatrici, carcerati, eccettuati i fatti di cronaca nera. Il silenzio è stato un antidoto efficacissimo per la coscienza collettiva che ha rimosso ogni notizia di disagio. Nemmeno “il problema” degli anziani, che pure interessa numerose famiglie, è emerso nella sua complessità. Sembra che le povertà esistenti siano diventate tutte “vergognose”, imputabili alle incapacità (colpevoli) personali e familiari e quindi da nascondere. “Chi ha problemi se li tenga e si arrangi”, sembra aver detto la coscienza collettiva.
A questo silenzio grave e peccaminoso si è perfettamente adeguato il governo. Scomparso ogni dibattito, ogni partecipazione, ogni progetto, ogni piano, ogni investimento. Il braccio di ferro tra Stato e Regioni è consistito nel sapere se e quanto il cosiddetto fondo sociale andava risicato o confermato.

Due “icone” possono aiutare a illustrare questa situazione. La prima riguarda il mercatino estivo dei bambini. Ho scoperto che dalle mie parti, d’estate, le mamme hanno inventato il mercato dell’usato, gestito da bambini. Sui lungomare, come nuovi vu cumprà, si sono allineati bimbetti e bimbette dai 6 ai 12 anni per vendere giocattoli, chincaglierie e robina della propria casa. I nuovi commercianti se la son cavata benissimo: niente sconti, attenzione ai clienti, disposizione della merce con gusto e scrupolosità, sotto l’occhio vigile delle madri. Domani, i bimbi, diventati adulti, saranno killer commerciali, perché – è la spiegazione delle mamme – sono da subito educati a maneggiare l’euro, a trarre vantaggio dalle cose utilizzate e soprattutto a comprarne di nuove. L’esperienza è giudicata positiva dalle famiglie, dalle amministrazioni, dalla scuola: il mondo che viene sarà giocato sulle risorse e sulla ricchezza. La sfida ai cinesi va iniziata presto: altro che i fioretti per i poveri, di cattolica memoria.
La seconda “icona” è il welfare dei ricchi. Un quadro desolante, ma efficacissimo. Buonuscite, benefit, opzioni per milioni di euro. A cascata: per gli amministratori unici, per i professionisti, per i consulenti, per i dirigenti. La tutela fai da te funziona benissimo in ogni settore: industriale, commerciale, bancario, ...

Le civiltà non si dichiarano guerra

In un articolo del Corriere della sera dell'8 Marzo 2006, il noto teologo Hans Küng affronta il tema del dialogo necessario e indispensabile con l"Islam. Di tutto l’articolo mi ha colpito una sua considerazione. Egli si domanda se lo scontro tra il mondo occidentale e il mondo islamico sia uno scontro di "civiltà”.
Egli risponde: “No perché le civiltà non sono attori sul palcoscenico della politica mondiale, né tantomeno dichiarano guerre. In molti luoghi, popoli di culture diverse vivono insieme piuttosto pacificamente. La politica mondiale è una questione che riguarda gli stati e i loro leader ed è sempre stato così”.
Dopo le infinite discussioni sullo scontro di civiltà, questa annotazione mi ha fatto ripensare tutto il quadro dei riferimenti a cui siamo sottoposti.
Le civiltà sono il frutto delle relazioni all’interno di un popolo e tra popoli. Le politiche dei governi sono azioni concrete a vantaggio della collettività, ma anche di alcuni gruppi all’interno di un popolo. Forse occorre maggiore attenzione nel seguire le azioni degli Stati per sapere a vantaggio di chi vanno e contro chi.

03/02/06

La “nostra” Enciclica

L'Enciclica "Deus caritas est” di Benedetto XVI è di una novità assoluta: per la prima volta un insegnamento solenne di un Papa offre i fondamenti teologici dell"azione caritativa della Chiesa. Mentre altri Pontefici avevano affrontato la questione in termini di “dottrina sociale”, Benedetto XVI va alla radice del perché la Chiesa deve agire caritativamente. 
Lo scritto del Papa unisce, in termine di stile, la familiarità propria del teologo (usa infatti la prima persona singolare e non il noi) e, nel corso del suo scrivere, annuncia, dimostra e propone. Per chi, come noi, agisce nel mondo dell’impegno sociale, l’enciclica diventa prezioso punto di riferimento. Il Papa segue un filo molto logico che si dipana in tre passaggi: il primo filosofico; il secondo teologico; il terzo pastorale. 
Nella prima parte dell’enciclica (nn. 2-11) il documento dimostra che tra Dio e l’umanità esiste un vincolo di profonda unione. La distinzione tra eros e agape, se poneva, nelle culture pagane (soprattutto greca) una contrapposizione tra l’umanità e la divinità, con il cristianesimo, l’immagine dell’unità è espressa dal matrimonio che significa vincolo esclusivo nella fedeltà e nel tempo. Con riferimenti biblici, la conclusione del Papa è lapidaria: tra Dio e l’uomo non esiste contrapposizione, ma unione intima, profonda ed esclusiva. 
Il secondo passaggio è teologico (nn. 12-18). Con la venuta di Cristo, Dio manifesta il suo amore inviando il Figlio, che, con la croce, porterà a compimento l’amore gratuito di Dio per salvare l’umanità ferita. Cristo, con la sua vita e la sua morte, dimostra che esiste un unico amore: quello di Dio e quello del prossimo. Il ricordo storico di questa verità Cristo è l’eucarestia: “Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi”. (n.14). 
Il terzo passaggio dell’enciclica è pastorale (nn. 19-39). Dall’unità dell’unico amore deriva, in forza dello spirito, l’azione della Chiesa. In termini espliciti il Papa dichiara: “a) La carità non è per la Chiesa una specie di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile alla sua stessa esistenza”. b) La Chiesa è la famiglia di Dio nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza di necessario.” (n.25). 
Come conseguenze di queste affermazioni il Papa affronta questioni più dettagliate. Una prima questione è quella della giustizia (n. 26-29); una seconda quella delle strutture di servizio (n. 30); per poi passare a descrivere il profilo specifico dell’azione caritativa della Chiesa (nn. 31-39). 
A proposito della giustizia il Papa affronta l’obiezione marxista che l’azione caritativa della Chiesa sarebbe correa dell’ingiustizia. Dopo aver riconosciuto ritardi nella comprensione dei fenomeni moderni di ingiustizia, il Papa citando la recente attenzione ai problemi sociali (a partire dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891), cita le principali sette encicliche dei suoi predecessori, fino ad arrivare al “Compendio della dottrina sociale della Chiesa, di recente pubblicazione) rivendica per la Chiesa un’azione specifica. Sono introdotti due compiti specifici: “la purificazione della ragione”; “il servizio dell’amore”. La purificazione consiste nel preservare l’azione umana dal suo accecamento etico, derivante dal prevalere dell’interesse e del potere. Il servizio dell’amore è orientato a lenire la sofferenza con la consolazione e l’aiuto. Un impegno concreto contro la solitudine (n.28). Queste funzioni specifiche dell’azione di carità costituiscono una vera novità nel rapporto tra fede e politica (alla quale il Papa riconosce una sua autonomia). Pur riconoscendo strumenti di collaborazione con le strutture pubbliche (utilità delle notizie e della cooperazione) e pur delineando nell’azione della Chiesa l’impegno concreto contro la ...

17/01/06

I cattolici italiani dal volto umano e irregolari

Il rapporto Eurispes Italia 2006, nel capitolo dedicato alla Chiesa, ha il vantaggio di far emergere, attraverso la ricerca scientifica, ciò che, almeno in parte, si era intuito sul versante dell'esperienza di vita dei cattolici italiani. Dal quadro offerto dall'inchiesta si evidenzia una popolazione cattolica molto caratteristica. Prima di tutto, in termini di "fede generica": la percentuale infatti di chi si dichiara cattolica è molto alta, l'87,8%. Dietro l'alto numero di credenti iniziano le differenziazioni. Sono molto numerose le donne, le persone di una certa età, coloro che hanno titoli di studio elementare e media. Scendono "i cattolici" tra i diplomati, i laureati, i giovani. La fede in Italia dunque ha il volto "popolare" nel senso più classico del termine. I praticanti sono un terzo di chi si dichiara tale. E' una percentuale - dice il rapporto - in risalita. Da altre fonti infatti si evince che chi partecipa assiduamente non arriva al 20%. 

I punti critici iniziano quando si affrontano problemi di comportamento etico: c'è un evidente gap tra la "dottrina" del magistero e le convinzioni dei singoli. I pacs, le convivenze, l'aborto, la legge sul divorzio, la fecondazione assistita, l'eutanasia sono temi sui quali anche i cattolici credenti non seguono il magistero: in misura consistente. Una criticità di difficile gestione. Se infatti i credenti e per di più praticanti differiscono dalle indicazioni ufficiali ecclesiali, un qualche grave problema deve pur esserci. Tentando un'interpretazione personale, probabilmente, nella coscienza delle persone, si sovrappongono due sentimenti: la misericordia che guarda alle situazioni di fatto e i principi di dottrina. Le persone, in altre parole, interpretano il consenso a scelte non consone ai principi morali, perché sono attente alle situazioni concrete delle persone. L'esempio è sul tema dell'aborto: 83,2,% di favorevoli se è in pericolo la vita della madre; 72,9% se c'è il rischio di grave malformazioni del bambino; 61,9% in caso di violenza sessuale. Queste percentuali scendono al 23% se l'aborto è procurato a causa di condizioni familiare e addirittura al 21% se è la sola volontà della madre a volerlo. 

Sul versante politico il mondo cattolico sembra appartenere più al polo conservatore, con la propensione ad una presenza significativa della Chiesa, anche sul versante delle istituzioni, purchè non sia invasiva. Colpisce la scarsa approvazione per misure che appaiono come un privilegio (esonero del pagamento dell'ICI è approvato solo da un quarto dei cattolici), mentre molti sono favorevoli ad aiutare la Chiesa anche con il prelievo fiscale (8 per mille). I punti confortanti dell'inchiesta sono tre: il desiderio di religiosità dei giovani; il bisogno della preghiera quando si parla di religiosità, il valore dei sacramenti, anche se in misura minore per la penitenza. Un quadro dunque che può definire il cattolico italiano (ma anche quello europeo) dal volto umano, anche se in contrasto con il Magistero. Forse per questo motivo i Vescovi italiani e il Romano Pontefice insistono recentemente molto sul concetto di "verità". Un'insistenza che, almeno apparentemente, non ha portato frutti se le tendenze sono tali oramai da decenni. Ciò produce effetti negativi sia nella vita interna della Chiesa che nella società civile: coesistono due religiosità. Quella corretta e ortodossa dei principi e quella vissuta dai cristiani e dalle famiglie. Se non si pone correzione a questa tendenza, alla lunga la frattura potrebbe essere molto grave. 

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