03/12/04

Un abbandono crudele e ingiusto

Tra le molte giornate "a memoria" di qualche patologia o evento "problematico", la Giornata della salute mentale del prossimo 5 Dicembre, non è inutile. Anzi: necessaria per il clima intorpidito che sembra avvolgere tutto il mondo della malattia e della disabilità, compresa la malattia psichiatrica. I manicomi sono stati chiusi, anche se resta la grande offesa dei manicomi criminali ancora funzionanti. La dolorosa esperienza della sofferenza psichiatrica ondeggia tra "i ricoveri" negli ospedali e nelle non numerose strutture protette e sempre più nelle cliniche psichiatriche e nell'abbandono delle famiglie.
Un prosieguo di riforma, dopo la celebre legge Basaglia, si è inceppato apparentemente sulla definizione della malattia e sui conseguenti interventi necessari, sostanzialmente per l'indifferenza verso forme patologiche croniche e dagli incerti risultati. Tutto il mondo della cronicità è oramai in balìa di se stesso, appena sopravvivendo là dove esiste. Nessuna consistente volontà ad affrontare definitivamente un problema serio di salute, dai risvolti caratteristici quali quelli del disturbo psichiatrico. Se l'intervento, privato e pubblico, è sufficiente all'inizio della malattia, diventa rarefatto e addirittura assente quando il crinale della malattia volge verso forme resistenti di patologia.
Le rare discussioni teoriche discettano - spesso accademicamente - sull'origine (biologica o sociale) del disturbo psichiatrico: nella concretezza delle risposte nessuno rifiuta il ricorso alla farmacologia accompagnato da interventi sociali capaci di alleviare la sofferenza e ridare prospettive di vita. La discussione dunque stucchevole sugli interventi necessari nasconde lo scarso interesse delle istituzioni e dell'opinione pubblica verso la malattia psichiatrica. Sopravvivono paura e allarmismi verso "la pazzia", anche se fortunatamente, grazie anche alla presenza di strutture riabilitative serie, i pregiudizi nel tempo si sono allentati. Si dimentica troppo spesso la sofferenza, personale e familiare, che la malattia psichiatrica porta con sé: l'intera vita (affettiva, relazionale, lavorativa e sociale) ne è compromessa. Non solo per chi ne è colpito, ma anche per l'intera famiglia.
Occorre riprendere il bandolo di un problema sanitario e sociale grave: anche perché il trend dice che, in una società particolarmente efficiente e veloce, il disturbo psichiatrico colpisce soggetti giovani. E la carriera della malattia mentale non è da augurare a nessuno, così portatrice di sventura, di solitudine e di dolore. Se la giornata avrà la capacità di rimettere al centro dell'attenzione uno dei problemi sanitari seri, una qualche speranza avranno coloro che soffrono di disturbi psichiatrici insieme alle loro famiglie. Altrimenti sarà un'occasione perduta e una responsabilità maggiore per un abbandono crudele e ingiusto.

07/09/04

Il traino benevolo

Associazionismo e politica

IN MOLTI HANNO NOTATO la recente rumorosa presenza dell'associazionismo cattolico e no sulla scena politica italiana: il meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, l'incontro di Loreto dell'Azione cattolica e del CSI, l'incontro imminente a Orvieto delle Acli, il convegno sul nuovo umanesimo della Comunità S. Egidio a Milano, l'incontro di Camaldoli della Rivista "Il Regno", la costituzione della "Retiinopera" a cui partecipano molte sigle dell'associazionismo comprese l'Agesci, la Cisl, il Forum del Terzo settore, il Forum delle famiglie.
Alla domanda centrale: per proporre chi e che cosa, le risposte ondeggiano e diventano vaghe. Tre dati: il primo riguarda il rapporto tra società civile e politica. Gli spazi sono azzerati: nessun rapporto strutturale tra istituzioni centrali e associazionismo è oggi in atto. I tavoli di concertazione inesistenti. Si preferiscono ammiccamenti e relazioni "amicali". Le risorse economiche sono al lumicino; le poche preesistenti drasticamente ridotte (si veda la cooperazione internazionale e il servizio civile). Il secondo dato è la politica estera in atto: l'Italia si distingue per la sua fedeltà ad azioni internazionali che puntano alla guerra preventiva, senza alcuna attenzione alla lettura e alla soluzione delle cause di guerra. L'Iraq e la Palestina ne sono purtroppo limpido esempio. Il terzo dato è la politica sociale in atto, di cui le leggi sull'immigrazione e quella sulle tossicodipendenze sono segnali eloquenti. Disprezzo e noncuranza contraddistinguono l'attenzione governativa ai ceti deboli della popolazione: gli esempi sono infiniti. E' sufficiente seguire le dichiarazioni dei vari Ministri che hanno una qualche attinenza con il sociale.
Riproponendosi a catena sulla ribalta politica, l'associazionismo che cosa cerca? Il cambiamento, il dialogo o, ipotesi più realistica, il traino benevolo? Un duplice moto sembra pervadere l'attivismo associativo recente: il primo, tutto interno, tende a dimostrare che le associazioni esistono. Per questo si convocano e si contano, facendo appello a tutte le residue risorse per apparire. Il secondo moto - più infido e pericoloso - cerca spazi di attenzione benevola da parte dei governanti. Ambedue i moti sono inutili e dannosi: così agendo tradiscono gli ideali per i quali le associazioni sono nate e soprattutto non incidono nella realtà politica. I temi scottanti indicati nella famiglia, nella pace, nell'economia sostenibile, nel federalismo, nella democrazia, nell'Europa hanno bisogno di ben altro che di dialoghi tra amici o presunti tali.
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14/07/04

Economia d'impresa, economia solidaria

La nostra agenzia, giovedì 8 luglio, ha dato notizia della lettera del premio Nobel Adolfo Péerez Esquivel alla famiglia Benetton per aver sottratto, con una sentenza di un giudice argentino, a una famiglia Mapuche in Patagonia, 385 ettari di terra che coltivava. La notizia è stata ripresa prima da "Repubblica" che ha dedicato due intere pagine alla questione: lunedì 12 luglio e martedì 13 luglio. Chi conosce l'America latina sa bene che il legislatore dei paesi di quel continente fa parte del ristretto gruppo di chi ha potere e dispone per legge ogni normativa a vantaggio dei potenti gruppi egemoni nel paese: così nel sistema bancario, in quello delle forze armate, dei latifondi, del petrolio e così di seguito. Nessuna meraviglia che ciò sia avvenuto anche per la Patagonia, con lo Stato argentino che vende a privati proprietà demaniali, nonostante la presenza di famiglie che in quelle terre sopravvivono. Nel sud del mondo non esiste nessun strumento di indennizzo, di mediazione, di risarcimento. Luciano Benetton ha risposto alla questione dichiarando che la "Compañia de Tierras Sud Argentino" ha agito rispettando le leggi e seguendo le regole in cui ogni imprenditore crede: "fare impresa, innovare, operare per lo sviluppo, continuare a investire per il futuro". Il problema, al di là del dramma della famiglia allontanata, è proprio qui: chi ha stabilito che le regole dell'impresa valgono sempre e comunque in tutto il mondo? Lo ha stabilito la forza economica ed egemone dell'occidente, con le complicità dei potenti del luogo. Nell'era della globalizzazione chi ha denaro va, compra e agisce secondo le regole "internazionali" dell'impresa. La storia, le ingiustizie secolari, le economie locali, i drammi vengono ignorati: chiunque, per sopravvivere, deve adeguarsi ai nuovi orientamenti, senza eccezioni e senza obiezioni. E' la storia del Brasile, del Venezuela, dell'Africa e dell'Oriente. Eppure anche in America Latina stanno crescendo filosofie diverse per creare benessere. Le chiamano "economie solidarie", capaci cioè di realizzare prodotti, portare sviluppo, ma attente alle storie e agli equilibri delle persone e dei luoghi: consorzi, cooperative, crediti agevolati, rispetto dell'ambiente sono gli strumenti più conosciuti. Immaginiamo i sorrisini degli imprenditori classici di fronte a simili proposte, Sono sorrisi di commiserazione perché proposti da nostalgici pieni di "ideologismi", quasi che l'impresa non abbia "una sua" ideologia. Probabilmente se i principi dell'economia solidaria fossero fatti propri dai grandi gruppi finanziari avremmo un mondo un pochino meno evoluto, ma certamente più giusto. L'augurio è che se avverrà l'incontro tra Péerez Esquivel e Luciano Benetton, essi possano parlare di un "diverso" di sviluppo della "Compañia de Tierras Sud Argentino". C'è poco da scoprire in chi ha fame e soffre miseria: è semplicemente gente povera e per questo disperata. Aiutarla significa fare impresa: se si è bravi anche con profitto economico.

16/03/04

Nulla da discutere

Recentemente il governo ha chiesto di dialogare con le forze sociali, i sindacati e con l'opposizione su diverse materie: terrorismo, risparmio, pensioni, giustizia. Non sappiamo se il dialogo avverrà e con quali risultati. 
Di certo nessuna compagine governativa ha chiesto di discutere di sociale. Pietra miliare della volontà politica rimane il combinato del decretone (269/2003) con la finanziaria 2004 che ha ridotto del 29% (da 1.716 a 1.215 milioni di euro) il Fondo nazionale complessivo per le politiche sociali, pur non avendo toccato la quota trasferita a Regioni e Comuni (896 milioni più i 100 originariamente destinati ai nuovi asili nido). Un taglio nemmeno compensato da provvedimenti a sostegno della maternità (2° figlio) e delle famiglie per l'accesso alle scuole private. In sostanza si è trattato di un travaso di risorse, con l'accortezza di nascondere la minore disponibilità. 
Questi dati indicano, senza ombra di dubbio, che la sensibilità delle politiche governative sul versante del disagio e delle povertà è zero. L'attenzione politica è volta ad altri interessi e interlocutori. Anche i due interventi significativi sociali, quali l'immigrazione e le droghe, sono diretti infatti non ai soggetti interessati, ma al resto della popolazione che da questi fenomeni deve essere tutelata. Così sarà, tra poco, per la riforma psichiatrica. 
Le conseguenze da trarre non sono difficili. Quel poco che rimane dei "tavoli" del welfare ancora in piedi non è nemmeno accademia. Chi, per motivi anche personali, vi partecipa perde tempo e denaro per il viaggio. 
La cosa più grave è che non si avvertono all'orizzonte governativo né tentennamenti, né rimorsi. I poveri, gli esclusi, gli anziani, i non autosufficienti non fanno parte di attenzione politica: sono solo peso eccessivo - da cui le minori risorse - dei quali "purtroppo", per dovere istituzionale, occorre occuparsi. 
Chi, nonostante i dati, insiste nel voler "dialogare" commette un duplice errore. Il primo è quello di dare credibilità a chi non fa nulla per meritarla; il secondo - gravissimo - è quello di tradire la causa per la quale lavora. 
Nel dialogo infatti si presuppone la volontà politica di fare: il dialogo serve a discutere i modi e i destinatari dell'azione. Di fronte al disinteresse, sono gravi le apparenze di interesse. Né si aggiunga la circostanza della sopravvivenza (il celebre "qualcosa" da riportare a casa): di fronte al nulla, il qualcosa non esiste.

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