17/10/03

Finanziaria, senza speranze

In questi ultimi giorni, prima dell’approvazione della Finanziaria, si sono mobilitate tutte le lobby per salvare il salvabile dai tagli negati pubblicamente, ma scritti nei documenti. Ma le lobby non sono tutte uguali e otterranno risultati differenti.
Per il mondo dei deboli alzare la voce non serve: il governo fin dal suo nascere ha fatto le sue scelte: tutelare le fasce privilegiate e comunque potenti, disinteressandosi di quelle marginali. Con i tagli proporzionali, apparentemente ugualitari, chi era avvantaggiato rimarrà privilegiato, chi era indietro sarà ancor più in affanno.
Da un punto di vista metodologico, nel perseguire questa politica sciagurata ha usato tre strumenti: negare in continuità la precarietà delle risorse del paese, pubblicizzare dettagli di intervento sociale (un milione a tutti i pensionati, 700 mila dentiere per i vecchi, 1.000 euro dal secondo figlio, la tassazione delle pensioni d’oro, gli asili aziendali) per ottenere comunque consenso e delegare agli enti locali tutti gli interventi concreti di risposta alla popolazione bisognosa, con minore risorse. Non a caso tutte le Regioni, Province, Comuni si sono dichiarati insoddisfatti della proposta della Finanziaria.
E’ una politica perversa – di pubblicità ingannevole – perché non dice la verità, nasconde chi e cosa privilegia e perché non proporziona, inversamente ai bisogni, le risorse.
L’elenco dei tagli, a questo punto, può essere immaginato, sicuri di non sbagliare: i fondi per la non autosufficienza, per la cooperazione, l’associazionismo, l’handicap, gli immigrati, le carceri, per l’infanzia e l’adolescenza, contro l’esclusione sociale, la tossicodipendenza sono stati inesorabilmente tagliati.
Non solo le categorie a rischio sono ridotte all’elemosina – tema caro ai moderni liberal, lumbard e no, della politica – ma settori, ben più pesanti di politica sociale scricchiolano: la scuola pubblica e le università, l’ambiente, la sanità pubblica, la cooperazione internazionale.
Dicevamo che non serve alzare la voce: prima di tutto perché le aggregazioni della cosiddetta società civile contano meno di nulla nella politica reale del paese. Se sono silenziose e obbedienti possono al massimo essere utilizzate per le opere “di misericordia”. In secondo luogo il sociale in sé, nella concezione mercantilistica, è un peso e come tutti hanno sperimentato ogni peso è da scaricare.
In questa stessa rubrica, il 21 Maggio del 2001, abbiamo intitolato il commento alla vittoria del centro destra: “senza illusioni”. Confermiamo oggi purtroppo quel giudizio, con la triste constatazione che non avevamo sbagliato.
Speriamo solo che chi allora, nel mondo del sociale e del sindacato, teorizzò la via del dialogo, si sia oggi ricreduto.

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