14/04/03

Il linguaggio dei vincitori

A chi, come noi, ha creduto fermamente che la guerra in Iraq dovesse essere evitata, dopo la vittoria anglo-americana, i vincitori suggeriscono sensi di colpa. Il loro linguaggio ondeggia tra il cinico e il baro.
- "Non sono state trovate armi di distruzioni di massa, ma le troveremo; abbiamo "liberato" l'Iraq da un dittatore; le morti innocenti e le distruzioni sono ineludibili effetti collaterali della guerra; il caos e i saccheggi sono fenomeni naturali in un conflitto; la ricostruzione spetta ai vincitori: chi vuole parteciparvi intanto paghi pegno, condonando i debiti esteri dell'Iraq", sono alcuni dei messaggi dei vincitori.
E, da vincitori, non sono ammessi dubbi ed errori; sarà la storia - che come è noto interviene dopo decine di anni - a dare giudizi; nel frattempo i vincitori hanno diritto di parola e gli sconfitti (i pacifisti) si vergognino delle loro idee.
Le lezioni da trarre, con molta serietà, per chi crede all'esclusione della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, sono molte e serie.
La prima riguarda le cosiddette nostre "democrazie": esse sono fragili e imperfette. Non sono esenti da poteri forti e da interessi nazionali e personali, che nulla hanno a che fare con il mandato popolare di rappresentanza. Perfezionarle, rendendole trasparenti, è un dovere che riguarda tutto l'occidente.
La seconda lezione riguarda la "logica" della pratica di pace: occorrono approcci lontani dagli schemi prevalenti della forza. Se tali schemi prevalgono è evidente che chi vince ha ragione, nonostante tutto.
La terza riflessione riguarda gli organi nazionali e internazionali garanti della pace: le Nazioni Unite, la cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari non possono essere presi o lasciati a piacere da chi ha la forza. Ogni prassi per essere efficace deve poter disporre di regole e strumenti adeguati.
La quarta riflessione riguarda la comunicazione: mai ascoltati argomenti e viste scene così "di parte". La dignità dei prigionieri o il bene della vita sono stati misurati a seconda dell'appartenenza ai vinti o ai vincitori. Gli stessi motivi della guerra sono stati diversamente attribuiti a fatti e circostanze affermate e negate.
La conclusione da trarre non è difficile: il desiderio di pace è la base di una filosofia delle relazioni interpersonali e internazionali. Necessita di strumenti, di risorse, di controlli per interferire sull'economia, sulla politica, sulla cultura. Senza il passaggio alla concretezza, il desiderio di pace continuerà ad essere solo desiderio e, per questo, sconfitto e deriso.

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