28/10/02

Veli neri

Ritornano ossessive le immagini delle giovani donne cecene, vestite di nero, morte asfissiate e lasciate sole tra le poltrone del teatro di Mosca.
Sono il simbolo della morte: portatrici e vittime di distruzione e di dolori.
Colpite dalla morte dei loro mariti o dei loro cari, vogliono redimerli trascinando con sé quanta più violenza e sangue possibili. I loro grembi cullano tritolo, le loro mani stringono pistole. La morte le ha ghermite tutte, quasi a voler sancire la regola della vendetta, che trascina con sé altre vittime innocenti.
Dai loro occhi, mentre erano in vita, non si riusciva a leggere i loro sentimenti, ma la loro presenza tra i sequestratori non lasciava dubbi.
Sono il simbolo della tragedia: ragazze che hanno vissuto la disperazione e di essa sono morte e hanno fatto morire.
Il silenzio del teatro e la loro solitudine sembrano dire che ogni violenza e ogni reazione violenta producono dolore senza ritorno. Con l'aggravante che la vita di quelle donne e degli ostaggi non placherà il desiderio di sangue che in quelle terre lontane, da secoli, rendono impossibile la convivenza tra popoli.
Ricordano i lutti di altre donne, in tutte le parti del mondo: il nero delle vedove, il nero della vergogna, il nero di chi deve pagare un prezzo alla vita, al di là delle responsabilità e delle verità.
Nessuna intelligenza umana riuscirà a mettere insieme una logica capace di spiegare di chi è la colpa del male procurato agli altri e a se stessi.
Nelle chiese cattoliche, proprio ieri, ha risuonato l'invito evangelico ad amare il prossimo come se stessi. Un invito che sembrerebbe lontano infinitamente dalle lotte fratricide di guerre attive in molti paesi del mondo.
Eppure, di fronte al dramma estremo di vittime e di persecutori, l'invito a rispettarsi e a volersi bene per una convivenza pacifica resta una indicazione necessaria.
Un invito a pensare e a vivere, contro la sfida del male che produce distruzione, con gli strumenti della verità, della giustizia, della fratellanza.
Anche se giustizia e verità hanno contenuti limitati perché immersi nello spazio e nel tempo di chi li vive.
Ma forse questa è la sfida di ogni esistenza umana.

17/10/02

Caro Edo

(Lettera aperta a Edo Patriarca, portavoce del Forum permanente del III settore)Caro Edo,
ho letto e mi hanno riferito le parole del Ministro Maroni ad Arezzo, con le quali ha voluto screditarti.
La mia solidarietà nei tuoi confronti è piena e senza riserve. Anche perché, conoscendoti, so bene che agisci ispirandoti a quanto dice la Lettera di Giacomo.“La sapienza che viene dall’alto invece è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia.” (Gc, 3,17).
D’altra parte non è la prima volta che il metodo infido del dubbio e dello screditamento è usato recentemente in politica. La vittima illustre è stato Biagi: sembra che il già Ministro Scajola abbia avuto il torto di dirlo pubblicamente, ma altri erano gli ispiratori di quel giudizio malevolo e crudele; non solo: continuamente l’ala cattolica e moderata del governo viene sottoposta alla doccia fredda del “ladri/onesti”. Come si faccia a rimanere in tale governo è un grande mistero: forse hanno impropriamente assunto lo slogan di borrelliana memoria “resistere, resistere, resistere”.
Ma questo doloroso incidente, mi permette di chiarire, politicamente, le posizioni del terzo settore di fronte alle recenti politiche sociali in Italia. Ricordi il breve incontro avuto a Nuoro, qualche mese fa, durante il quale ti dissi espressamente che l’atteggiamento del dialogo con l’attuale politica governativa era inutile e dannoso?
A distanza di tempo confermo quel giudizio. Nulla di personale e tanto meno di mancanza di carità. Trattandosi di politica, di potere cioè, credo infatti che gli unici criteri di giudizio siano la verità e la giustizia, tenendo presente gli “interessi” dei più deboli e svantaggiati.
Questo governo non ha politica sociale. Avrai letto la difesa del sottosegretario Sestini per la politica del governo di destra: mi ricorda le antiche tribune elettorali degli anni ’60 quando i Ministri dell’epoca rispondevano: “stiamo facendo, faremo…”.
I risvolti sociali delle iniziative governative non sono né attente ai deboli, né tanto meno sociali. I pochi provvedimenti sono populisti, mirati ad accaparrare consenso. Prendi il milione garantito agli anziani. Chi aveva la pensione sociale come le casalinghe oltre i 65 anni, gli oltre due milioni di disabili con l’elemosina della prefettura, si è ritrovato esattamente come era. Altro esempio: le difficoltà in sanità sono evidenti a tutti: mi dici a che servono le dentiere di plastica promesse dal Ministro della salute? Forse per la dignità di morire poveri, ma con falsi denti in bocca.
Nonostante questo quadro tu dici che bisogna dialogare: in questa convinzione sei in buona compagnia. Altri organismi di rappresentanza civile di ispirazione del cristianesimo-sociale la pensano come te. Probabilmente perché facendo azione “sindacale” sperate che qualcosa comunque si può ottenere.
Credo che voi sbagliate, anche se riconosco nella vostra posizione ragioni politiche trasparenti e ragionevoli.
Si può dialogare se manca l’oggetto della discussione? Non solo: le cosiddette organizzazioni “non amiche” secondo l’attuale esecutivo – l’ha confermato anche Maroni – non sono da ascoltare e tanto meno da seguire. Credo sia stato l’allora Ministro Previti a dire, nel 1994, che non avrebbero fatto prigionieri.
I toni oggi sembrano smussati, ma la sostanza rimane la stessa: chi non è di destra non esiste, al di là dei numeri e delle rappresentanze. Questo il senso della dichiarazione del Ministro in un intervista a La Stampa del 14 ottobre, quando afferma testualmente di voler “dare pari dignità e pari voce a tutti, senza discriminare in base alle dimensioni dell’attività svolta”. L’associazione sotto casa, purché amica, diventa interlocutrice quanto il Forum.
Guarda i vari tavoli di discussione: congelati o scomparsi. Se ti fanno partecipare sei circondato da sigle sconosciute ...

10/10/02

Volontariato, non vogliamo tornare alle origini

Si apre domani ad Arezzo la IV Conferenza nazionale sul volontariato.
Il parterre prevede la presenza di sei Ministri e mezzo.
In compenso i gruppi, nazionali e internazionali, sono liquidati con un “testimonianze”: una specie di teatro nel quale gli interpreti principali non sono coloro ai quali è dedicata la conferenza, cioè i volontari, ma Ministri e Ministre, i quali, con grande enfasi, narreranno l’importanza e l’insostituibilità dei volontari. Un esercito di “buontemponi”, i quali, con grande generosità, mettono una pezza alle non risposte che lo stato dovrebbe dare, se avesse a cuore il benessere di tutti i suoi cittadini, soprattutto più deboli.
Io non andrò: non ne vale la pena. Non per preconcetto, ma per il semplice motivo che è inutile fare clacca: è preferibile il motto benedettino “ora et labora”, “prega e lavora”, perché le povertà, antiche e nuove, sembrano sempre più frequenti e gravi, con l’aggravante, ahimè, delle risorse di aiuto minori.
Chissà, se per questo motivo, è stata scelta la figura del bambino povero che riceve da un nobile con giacca di velluto un “tozzo di pane”. L’on. Sestini ha dichiarato che la scelta è stata fatta per “tornare alle origini”, riprendendo il particolare di un affresco di S. Maria della Scala a Siena, del 1200.
Ebbene non vogliamo tornare alle origini: non vogliamo che i bambini soffrano e chiedano la carità. Ne vediamo troppi ai semafori e sappiamo che sono rom, spesso schiavizzati da adulti violenti e profittatori.
Avevamo sognato uno stato democratico, attento ai bisogni di chi stava male, con interventi capaci di alleviare dolori alle famiglie e di dare dignità a chi era in difficoltà, qualunque fosse stato il motivo di fragilità.
Ci ritroviamo a ricominciare daccapo: sempre daccapo, con una specie di maledizione che ci accompagna, che preferisce le briciole di evangelico ricordo, ai diritti della dignità moderna.
I gesti di “carità” aggiungono qualcosa di bello e di dignitoso, se poggiano su una protezione sociale solida e consistente, altrimenti diventano un pericoloso alibi di ingiustizia.
Noi, qualunque siano le indicazioni che vengono da Arezzo, continueremo a stare al nostro posto. Troppe richieste ci assalgono; tutte persone deboli e fragili nel contesto sociale: chi per salute fisica, chi per salute mentale, chi per difficoltà familiari e sociali. L’Italia grande e prospera nasconde infinite tragedie di malessere e, non si dimentichi, di vere e proprie povertà.
Con tristezza registriamo, al di la delle conferme, che le risorse saranno scarse. In fondo è stato sempre così: a chi ha poco, si chiede di stringere la cinghia, forse perché è abituato a non essere esigente. Ma non è giusto, aggiungiamo noi.
Le cifre sbandierate sulla finanziaria non solo non sarebbero abbondanti, ma costerebbero alle famiglie più bisognose 300 euro a mese, così come denuncia un recente studio della CGIL.
Ci risponderanno che non sappiamo leggere. Stavolta ci consoliamo perché siamo in buona compagnia: è stato risposto così anche alla Confindustria che, come si sa, ha tanti difetti, ma certamente non quello di non saper fare i conti.

04/10/02

Desiree: le risposte degli adulti

Questa mattina è stato ritrovato il cadavere di Desiree Piovanelli, la quattordicenne scomparsa da alcuni giorni dalla sua casa, in un paese del Bresciano. La ragazza è stata uccisa con un’arma da taglio. Il principale sospettato è un suo coetaneo, che è stato fermato e avrebbe confessato.
Gli adulti si interrogheranno sul perché della morte violenta, assurda e inutile di Desiree.
Non riceveranno risposte dal ragazzo che l’ha uccisa, perché quel ragazzo, qualunque sia la risposta, non darà spiegazioni sufficienti per il delitto.
La risposta va chiesta agli adulti; non certo ai genitori di quel ragazzo, ma a tutti gli adulti, genitori ed educatori, che frequentano gli adolescenti.
I ragazzi di oggi sono materia e spirito informi: flaccidi e violenti insieme; intelligenti e miopi, affettuosi e anaffettivi, generosi e cinici.
Sono gli adulti che li hanno così concepiti e allevati. Attenti ai loro bisogni si mostrano incapaci di fornire loro strutture interiori di sostegno: li amano e li abbandonano, li guidano e li disorientano.
Il messaggio centrale che gli adulti offrono ai più giovani si sintetizza nell’obiettivo della felicità, senza fornire contenuti, strumenti e limiti della felicità stessa.
Pensa il mondo esterno degli adulti a dir loro che saranno felici se saranno ricchi, sani, forti e visibili.
L’adolescente cresce come cane da tartufo in ricerca di felicità: se qualcosa gli si frappone, cambia strada, continuamente, fino ad impazzire: così a scuola, in famiglia, con gli amici.
Si sono abituati a dover sopravvivere alle contraddizioni degli adulti che fin da piccoli hanno vissuto: bene e male gestiti nella contraddizione, senza mai un segno di qualcuno che abbia detto che cosa era giusto e sbagliato, che cosa possibile e impossibile.
Nella superficiale attenzione a loro, gli adulti hanno taciuto sulle proprie scelte, sui propri errori e sulle proprie contraddizioni. Non hanno mai parlato, né si sono mai comportati come adulti, ma hanno molto nascosto, con la furbizia di spingere verso la felicità. Chi d’altronde, può essere contrario alla felicità?
I nostri adolescenti sono così nulla e nessuno, tutto e il contrario di tutto, compresi i profondi richiami alla violenza e alla estrema generosità.
Il tempo cancellerà purtroppo la morte di questa bambina. I Giudici e gli Avvocati si accaloreranno per sapere se e quanto l’omicida sia cosciente: situazioni che non consoleranno nemmeno i genitori della ragazza.
Rimane il problema della crescita e dell’educazione dei nostri ragazzi, immersi in un mondo “meticciato” del supermercato. Con dentro di tutto o quasi, senza che nessuno abbia il coraggio – magari sbagliando – di dire che cosa può essere acquistato, che cosa buono e che cosa pericoloso.
La cronaca ingrosserà, nel tempo, gli interrogativi: le risposte ritorneranno puntuali agli adulti che hanno voluto ed educato o diseducato i piccoli.

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