30/01/02

Rai, non chiediamo niente

Di fronte al rinnovo dei vertici Rai, il mondo della società civile credo possa chiedere ciò che rappresenta e cioè la normalità.
Milioni di cittadini e cittadine sono costretti ogni giorno a tirare avanti, con i problemi della vita: lavoro, casa, trasporti, salute, istruzione dei figli, sicurezza, prospettive del futuro.
Rappresentare questo mondo sembra facile, in realtà, in radio e in video, è estremamente difficile.
Non bisogna annoiare, ma nemmeno rifugiarsi nel sogno; occorre divertire, ma anche affrontare i problemi seri; problematizzare, senza esagerare.
La vita nasconde un'infinità di anfratti che val la pena di sondare e svelare.
Con uno slogan, caro ai giornalisti, la prima grande direttiva è raccontare le storie: storie brutte e belle; storie assurde, ma anche molto normali e positive; storie serie, ma anche divertenti e di evasione. E' dalle storie che si può risalire ai legami, alle cause, alle trasformazioni.
Storie non soltanto di persone, ma anche di luoghi, di periodi, di ambienti, di futuro.
Il vezzo di inseguire spicchi privilegiati di società (politica, cultura, cinema, sport, economia) nasconde l'autocelebrazione di chi ha poteri e approfitta del mezzo di comunicazione pubblico per propri privilegi.
Lo squilibrio tra dettagli di palazzo e vita reale va soppresso, pena la disassuefazione dai mezzi di comunicazione, con il risultato di un pessimo servizio di informazione.
Per raccontare le storie occorre genialità: capacità cioè di risalire da circostanze normali, a messaggi oltre le circostanze. In questi passaggi si misurano professionalità, creatività, arte e cultura.
Solo grandi professionisti sono in grado di rendere generale ciò che è particolare; interessante ciò che è ovvio; illuminante ciò che appare scontato.
Inseguire "la notizia" e gonfiarla quando non lo è, significa non essere in grado di leggere ciò che avviene nella realtà: sotto casa, ma anche nel paese e nel mondo.
Il traino alle sole notizie di agenzia non paga: la radio e la tv diventano scontate e fotocopie di altri che hanno deciso e scritto. C'è, in termini espliciti, da recuperare il mestiere di giornalista, capace di andare a leggere il mondo e raccontarlo.
Infine i toni "apocalittici" ancora oggi troppo presenti, per ogni circostanza, sono artefatti, inutili e stantii. L'antidoto è forse un sano realismo, non esente da ironia e autoironia.
Considerare tutti imperatori e determinanti per le sorti del mondo è fuori da ogni ragionevole realtà ed esprime sudditanza più che creatività.
Sembrerà strano che il mondo della società civile, impegnato nella vita difficile del recupero e della marginalità, non chieda nulla di particolare. Non è strano perché sarebbe un pessimo servizio quello che riducesse il mondo all'attenzione dei soli bisogni.
I bisogni esistono, come esistono le risposte; esiste la marginalità, perché esiste la normalità; esistono le sconfitte, come le vittorie; il ridere come il piangere.
Ci aspettiamo dunque una tv intelligente e creativa: che faccia da specchio alla realtà, ma anche capace di prospettare futuro e soluzioni.
Probabilmente chiedendo poco, chiediamo troppo: è sempre in agguato il gioco di chi promette e mantiene per sé; dichiara attenzione, ma favorisce interessi e amici.
Non possiamo che essere attenti e, se la delusione fosse cocente, spegnere radio ...

07/01/02

Prostituzione e ipocrisia

Ritorna spesso in Italia la discussione sulla prostituzione: in genere quando qualcuno - questa volta il Presidente del Consiglio - protesta per le scene non edificanti sulle strade; qualche altra volta per le lamentele di abitanti di quartieri a rischio.
Le tesi contrapposte sono due.
La prima dice: sistemiamo, una volta per tutte, la storia della prostituzione. Considerato che la prostituzione in sé non è reato, tanto vale organizzarne l'esercizio. Case chiuse, cooperative, quartieri a luce rosse, vetrine ecc. diventano varianti della regolamentazione. Si tratterebbe, in ultima analisi, di trovare la forma più efficace per l'igiene, la sicurezza, la tranquillità sociale, il fisco, la lotta allo sfruttamento.
Esempi di organizzazione non mancano: Olanda, Germania non sono che spunti di un'unica soluzione. Lo stato interviene per i risvolti di ordine pubblico (tranquillità, igiene, tasse ecc.) considerando la prostituzione tra adulti un'attività lecita.
Una seconda ipotesi, molto minoritaria, dichiara che la prostituzione in sé è un mercato "turpe" e come tale va combattuto: non solo sul versante delle donne e uomini che si prostituiscono, ma anche sul versante dei clienti. Un mercato "turpe" non può essere regolamentato, ma semplicemente combattuto e represso.
In Italia sembra prevalente la prima tesi: tanto vale, con coraggio, assumersene le conseguenze e iniziare una ipotesi di regolamentazione. La soluzione però sembra troppo forte, perché regolamentare la prostituzione con una legge fa male a quel "senso comune del pudore" che non sappiamo se derivi dalla coscienza cattolica o semplicemente dalla cultura araba-mediterranea a forte tinte familistiche. La conseguenza è che la prostituzione è sparsa sul territorio nazionale, poggiando su variabili che sfuggono a qualsiasi logica.
Si assiste così alla contraddizione di un vasto permissivismo culturale e a repressioni per la tutela dei propri territori (si vedano le campagne, in genere estive, dei sindaci delle coste adriatiche) anche molto forti.
Personalmente siamo sostenitori della seconda ipotesi: la prostituzione va combattuta perché è uno scambio che non rispetta la dignità delle persone. Quella stessa dignità che impedisce altri contratti ritenuti "turpi": la bigamia, ad esempio, la compravendita di un bambino per una coppia sterile, la cessione di un organo a scopo lucrativo.
Il sospetto è che permanga, nella sottocultura che definisce la prostituzione l'arte "più antica del mondo", un forte contenuto possessivo, per cui il padrone (uomo in genere, ma recentemente anche donna) possa "comperare" molte cose: tra queste anche le prestazioni sessuali. E' forse questo il motivo che vede accomunate culture apparentemente contrapposte, ma che si riunificano nel comune denominatore dell'acquisto.
L'ipocrisia recente mette insieme sostegno alle famiglie regolari e regolamentazione della prostituzione, quasi a voler definire le regole morali del "benpensante" che ha una famiglia perfetta, ma a cui qualche passaggio dalla prostituta o dal femminiello fa bene alla salute.
La volgarità e l’ipocrisia non hanno più limiti.

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