31/10/01

Droga e slogan

Dopo le esternazioni di questi ultimi giorni, a proposito di droga, noi delle comunità dovremmo essere contenti. Le comunità saranno - secondo la linea del nuovo governo - più libere e tutelate; la guerra alla droga sarà più forte; la salvezza dei ragazzi più vicina.
Ma la "lotta" alla droga, che non inizia da domani, dovrà tener conto, di nodi che nei proclami recenti non hanno avuto spazio. Li ricordo per concretizzare, oltre gli slogan, una strategia efficace.
Il primo è la lotta al traffico di stupefacenti. Non è stato detto nulla di specifico a proposito: grave errore. L'ingresso dell'euro faciliterà purtroppo il riciclaggio di denaro sporco. I traffici illeciti giocheranno con le conversioni euro-dollaro, lasciando ancora meno tracce.
L’“afgano” (ottima eroina secondo i consumatori) presto invaderà tutti i mercati d'occidente, per sostenere la guerra dei talebani. La cocaina (il cui consumo è in crescita) è offerta sempre a minori costi.
Senza un'azione europea e mondiale, la "droga" continuerà a mietere vittime. Dopo Schengen i confini nazionali di fatto sono inesistenti: quale raccordo tra gli stati europei? E con quali risultati se già in alcuni paesi di fatto l'uso di droghe leggere (vedi Olanda, tra poco l'Inghilterra) non costituiscono più reato?
Il secondo nodo sono i consumi delle giovanissime generazioni. I ragazzi più giovani tendono a consumare di tutto: alcol, amfetamine, ecstasy, marijuana, hascish, cocaina. Rimanere fermi alla distinzione tra droghe leggere (da legittimare o proibire) e altre sostanze è un falso problema. La vera battaglia è disincentivare i consumi dannosi, senza distinzioni. La lotta al tabagismo, su scala mondiale, sta portando i suoi frutti: se non si fa altrettanto per le sostanze genericamente inebrianti, la partita è persa. Disincentivare i consumi inebrianti, però (si pensi alla pubblicità degli alcolici), pone gravissimi problemi di strategie "culturali" e commerciali.
Terzo serio problema sono i disturbi "psichiatrici" dei ragazzi tossicomani. Nelle comunità arrivano sempre più giovani che oltre ad essere dipendenti, mostrano veri e propri disturbi della psiche. I tecnici discutono sulla "doppia" diagnosi (da dipendenza e psichiatrica); il sospetto è che spesso i consumi di droga servano a lenire le sofferenze personali con un automedicamento. Se così fosse, le strategie di recupero si fanno ancora più complesse e difficili.
La discussione di questi giorni si è tutta concentrata su comunità sì e servizi pubblici no. E' evidente che l'attenzione, scegliendo in così tanti interlocutori e palcoscenici inadeguati, anche se amici, si è così svilita a piccola esternazione di "politica interna".
Le proposte sono di altra portata e gli impegni ben più vasti e seri. Tra queste ricordiamo:
- strategie di lotta al traffico, in ambito nazionale, europeo e internazionale;
- raccordo tra le legislazioni europee per la disincentivazione ai consumi di sostanze nocive;
- politica organica propositiva "giovanile", senza appelli patetici e generici alle famiglie e alla scuola;
- ricomprensione dei modi di consumo e di conseguenza delle risposte dei servizi.
I ragazzi tossici in Italia sono valutati in 300.000; 145.000 sono in carico ai servizi pubblici, di cui quasi 90.000 hanno più di 30 anni; 19.000 sono in carico alle comunità.
Discuterne nella trasmissione del buon Vespa, è inutile e inopportuno.

12/10/01

I cattolici e la guerra

Infuria la polemica - si fa per dire - sul pacifismo cattolico, dopo l’annuncio della guerra da parte di Bush contro il terrorismo, con riferimenti, per l’Italia, alla partecipazione di ieri dei cattolici al G8 di Genova e alla marcia della Pace di Assisi, appena domani.
La risposta cattolica, per la tradizione, per i martiri dei secoli e soprattutto per il Vangelo è la presa in carico del male e quindi il perdono.
Nessuna vendetta, ritorsione, difesa sono possibili se si segue il fondatore del cristianesimo, morto ingiustamente, senza difese.
Il riferimento al Dio cristiano misericordioso non può essere relegato a scelte opzionali e personali. Ogni qual volta qualcuno procura il male, la strada evangelica è: parlagli, confrontalo nella comunità, allontana da te il male, ma a nessuno è permesso di esprimere giudizi e tanto meno disporre della vita del nemico.
Sappiamo bene che storicamente non sempre è stata seguita questa strada.
Si è fatto appello a mille ragioni che hanno permesso agli stati cristiani, di fare “guerre” giuste e anche ingiuste.
La drammaticità degli ultimi avvenimenti pone, ancora una volta, la domanda.
Ancora oggi cristianamente la risposta è la stessa: nessun missionario perseguitato o a rischio di vita si è mai sognato di armarsi, di difendersi, di aggredire e annientare il nemico. Il missionario martire ha cercato semplicemente di essere evangelico e per questo spesso è dichiarato “santo”.
Questa posizione, che può sembrare radicale, in realtà è la sola posizione teologicamente corretta.
Diverse sono le considerazioni “politiche” che un popolo o un gruppo di popoli può fare di fronte ai propri nemici. In questo caso sono altri i principi morali – che pure debbono esistere – che debbono dirigere le azioni di uno stato di fronte alle aggressioni.
Se in queste considerazioni si inserisce il cattolico, la sua presa di posizione è quella appena espressa. Può essere giudicata come vigliacca, utopistica, inconcludente e con mille altre definizione, ma quella è e quella rimane.
Ogni qual volta il cattolico piega il suo credo a considerazioni “umane” tradisce la sua fede e il suo credo.
Il credo cattolico non è manipolabile, perché fa riferimento a Dio che solo dispone del bene e del male.
Chi tentasse di coinvolgere in considerazioni “umane” il credo cattolico, fa un brutto servizio a se stesso e al cattolicesimo.
Forse è arrivato il momento, anche in Italia, di rispettare posizioni che possono non essere condivisibili, ma è cosa peggiore, per piccoli calcoli contingenti, piegare fedi e sconvolgerle.
Ma probabilmente, in questa manipolazione, risiede la radice della debolezza del cattolicesimo occidentale di fronte ad altri fedi “nemiche”.
A Genova ieri, ad Assisi domani i cattolici sono chiamati ad una radicalità senza eccezioni, noncuranti che altri giudichino diversamente e agiscano in modo difforme: nessuno infatti oggi pensa che in Italia o in Europa uno Stato debba dichiararsi “cattolico”.

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