06/04/01

La vergogna psichiatrica

La giornata mondiale della salute mentale ripropone, ancora una volta, uno degli aspetti più problematici, dolorosi e ambigui della tutela della salute in Italia. 
Passi lenti verso una riforma, annunciata con grandi battaglie ideologiche e grandi evviva nel 1978, con la celebre legge 180 (legge Basaglia) e naufragata nei meandri di ritardi, perplessità, poteri (occulti e manifesti), abbandoni. 
Solo recentissimamente è stata decretata la fine dei manicomi (non chiusi ovunque); la sofferenza psichiatrica rimane in carica, sostanzialmente alle famiglie. 
Tutta una serie di strutture intermedie (comunità alloggio, comunità protette, centri diurni, appartamenti, centri riabilitativi) esistono e non esistono. 
Un po’ come per la lotta al dolore, l'Italia rimane indietro non si sa bene perché: una certa sofferenza che deriva da disturbi psichiatrici sembra essere "doverosa" in nome della normalità. 
Senza che, per tutto questo, si riescano a capire motivi, tempi e risvolti dei ritardi.
Gli indugi vanno rotti a nome della dignità delle persone: si potrebbe osannare ai passi avanti nella cura della sofferenza psichiatrica, con i risultati raggiunti. Non è il caso, perché la cura dei "nuovi matti" è ancora incerta e precaria. 
Non spetta a noi attribuire responsabilità: a ciascuno la sua. Agli addetti ai lavori, alle istituzioni, alla coscienza civile, alle organizzazioni sociali. 
Non è possibile che di fronte a malattie che coinvolgono gli equilibri di intere famiglie, persistano mancanze e incertezze. A meno che, la razionalità, virtù principe della cultura occidentale, ne disprezzi la mancanza. In questo caso, sarebbe la fine, perché non esisterebbero alternative. 
Proprio la razionalità e la dignità delle persone, pietre miliari della civiltà, ci impediscono di considerare le persone, con malattie psichiatriche, "cittadini di secondo ordine".

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